di Chiara Bazzano
Dal 10 al 21 novembre 2025 Belém, nel cuore dell’Amazzonia, ha ospitato la trentesima Conferenza delle Parti (COP30), l’appuntamento annuale dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Fin dall’inizio il vertice ha assunto un forte valore simbolico: dieci anni dopo l’Accordo di Parigi, il Brasile lo ha presentato come la “COP della verità”, con l’obiettivo di verificare i progressi compiuti e definire i nuovi NDC al 2035. L’agenda, articolata in sei pilastri, spaziava dalla transizione energetica alla protezione degli ecosistemi, dalla trasformazione dei sistemi alimentari alla resilienza urbana.
Tuttavia, l’elemento più atteso, una roadmap per l’uscita dai combustibili fossili, è stato rimosso nelle ultime fasi del negoziato. Le forti pressioni di Arabia Saudita, Russia, India e altri grandi consumatori di carbone e petrolio hanno portato all’eliminazione di ogni riferimento ai fossili dal testo finale, suscitando critiche diffuse da parte della comunità scientifica e di numerosi Paesi.
Parallelamente, la COP30 ha messo in luce una diplomazia climatica frammentata. L’assenza degli Stati Uniti ha creato un vuoto rilevante, mentre la Cina ha mantenuto un profilo basso nei negoziati multilaterali pur restando leader nelle tecnologie pulite. L’Unione Europea, tradizionalmente motore dell’ambizione climatica globale, si è trovata indebolita dalle proprie divisioni interne, aprendo spazio a un ruolo più assertivo dei Paesi BRICS e del Brasile.
In questo contesto, per l’UE emergono due priorità: difendere la propria leadership nelle politiche climatiche e rafforzare l’autonomia industriale ed energetica, soprattutto nelle filiere strategiche come idrogeno, batterie e materie prime critiche.
Per l’Italia, il vertice conferma la necessità di un posizionamento più chiaro: pur sostenendo gli obiettivi europei, il Paese mantiene un approccio molto prudente su biocarburanti, ETS2 e tempistiche di uscita dai fossili, riflettendo la struttura del proprio sistema energetico e produttivo.
Molti osservatori hanno definito la COP30 la “COP delle dure verità”: il divario fra scienza e politica si amplia, mentre il contesto internazionale resta instabile. Di conseguenza, la COP31 di Antalya rappresenterà dunque un test decisivo per capire se la cooperazione globale sarà in grado di sviluppare un percorso più efficace.






