L’autrice intende ricostruire le origini e l’evoluzione delle istituzioni indiane che separano il patrimonio per fini religiosi o caritatevoli, un tema poco trattato rispetto ad altri aspetti del diritto hindu, soprattutto quello matrimoniale. Si avvale soprattutto di fonti indiane del periodo coloniale e dei testi sanscriti dei dharmashastra e dei loro commentari, per offrire una prospettiva interna alla tradizione giuridica.
1. Origini storiche della segregazione patrimoniale
Bisi parte dall’analisi di J.C. Ghose (1908), che collega la pratica indiana alle popolazioni arie della Persia, le quali consideravano la terra destinata alla pastorizia un bene comune. Anche i Romani avevano una concezione simile di terra collettiva per l’allevamento. In India, secondo G. Sarkar Sastri, la regola era la segregazione della proprietà a scopi specifici, mentre l’alienabilità era l’eccezione; ciò rifletteva la natura agricola della società hindu pre‑moderna.
Con il passaggio da una vita nomade a una struttura sedentaria, le comunità dovettero organizzare meglio la terra. La proprietà divenne indivisibile e legata a cariche ereditarie (es. tenute militari dei guerrieri vedici). Il capo famiglia, analogamente al pater familias ario, deteneva tutti i diritti e le responsabilità; alla sua morte il primogenito ereditava questi oneri, compreso il mantenimento dei fratelli.
2. Evoluzione verso la partition
Ghose osserva che, nonostante la forte tendenza a riservare la maggior parte del patrimonio al primogenito, con il tempo si introdusse la partition: una divisione della proprietà tra tutti i discendenti. Nei testi della Manu Smṛti compaiono sia indicazioni di divisione (plurale) sia di mantenimento di una massa indivisibile. La partition nasce dal desiderio di garantire a tutti i figli una quota, ma la parte più consistente rimaneva comunque al primogenito o al figlio più capace.
Questa duplice logica ha prodotto due regole ancora presenti in alcune regioni indiane:
- Diritto di divisione – i figli possono chiedere la spartizione dei beni.
- Patrimonio indivisibile – una porzione (abitazione, terra principale) resta destinata al primogenito o a chi assume la carica familiare.
3. Destinazioni religiose e caritative
Le istituzioni di segregazione patrimoniale per scopi religiosi o di beneficenza (endowment) si sono sviluppate a partire da queste strutture ereditarie. La terra o altri beni destinati a templi, mutue o opere di carità venivano considerati impartibili: non potevano essere venduti o alienati, ma dovevano rimanere a beneficio della comunità religiosa o dei bisognosi. Questo modello è stato trasmesso dal diritto vedico attraverso i dharmashastra fino al diritto contemporaneo indiano, dove le leggi sui waqf e sui endowment mantengono la stessa logica di inalienabilità e di finalità pubblica.
4. Conclusioni
Bisi conclude che la segregazione patrimoniale in India non è un fenomeno isolato, ma il risultato di una lunga evoluzione storica che parte da pratiche ariane di proprietà collettiva, passa per la struttura familiare hindu basata sul primogenito, e si consolida nella partition e nella creazione di endowment religiosi e caritatevoli. Queste istituzioni continuano a influenzare il panorama giuridico indiano, offrendo un esempio di come le tradizioni antiche possano modellare le norme contemporanee in materia di proprietà, eredità e beneficenza.



